Carissimi fratelli e sorelle,
carissimi canonici, sacerdoti, diacono,
consacrati e consacrate,
ascoltatori di Radio Oreb.
Questa sera siamo qui per rivivere l‘Ultima Cena di Gesù con i suoi discepoli, alla vigilia della sua passione e morte. Ecco come l‘evangelista Giovanni introduce la narrazione dell‘Ultima Cena: ‘Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine‘ (Gv 13,1). ‘Sino alla fine‘, vale a dire fino al dono totale di Sé.
La prima lettura descrive come gli Ebrei, ogni anno, ricordano ‘ con una cena ‘ la liberazione dalla schiavitù d‘Egitto. Quella notte, in fretta, avevano mangiato l‘agnello arrostito, il pane non fermentato e le erbe amare perché la gioia della liberazione era velata da tante preoccupazioni e rischi. E così, ogni anno, essi ripetono quei gesti, mangiando gli stessi cibi e ricordando l‘intervento liberatore di Dio.
Nella seconda lettura Paolo racconta come Gesù, ebreo, celebrò la sua Ultima Cena Pasquale con i discepoli. Gesù, però, non ricorda solo l‘avvenimento del passato, ma annuncia una nuova liberazione, una nuova alleanza, un popolo nuovo. Nell‘Ultima Cena, dando da mangiare ai suoi discepoli il pane ‘ che definisce Suo Corpo ‘ e porgendo loro come bevanda il vino – che chiama Suo Sangue – Gesù istituisce il sacramento dell‘Eucaristia, ossia crea il banchetto pasquale cristiano e, quindi, una convivialità assolutamente nuova. I termini ‘corpo‘ e ‘sangue‘ vanno intesi nel loro senso biblico. Essi indicano l‘identità concreta, visibile, di Gesù, quindi la sua vita non trattenuta per Sé, ma offerta in sacrificio.
Come Paolo, anche i tre evangelisti Matteo, Marco e Luca ricordano quale fatto centrale di quella sera la Cena e l‘Eucaristia. Giovanni, invece, parla di Gesù che lava i piedi ai discepoli e descrive questo gesto quasi come una scena vista al rallentatore, evidenziando ogni momento ed ogni azione: ‘Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell‘acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l‘asciugamano di cui si era cinto‘ (Gv 13,3).
La lavanda dei piedi ai discepoli ‘ ad opera di Gesù ‘ non è un semplice gesto di accoglienza o di carità, oppure un gesto di umiltà o di buon esempio per insegnare ai discepoli ad amarsi l‘un l‘altro. Lavando i piedi ai suoi discepoli Gesù non ha nascosto la sua grandezza divina ma l‘ha rivelata. Con questo gesto, Egli ci offre un‘icona visibile della sua identità divina ed esso diviene non solo un atto esemplare ma, addirittura, un atto ‘fondativo‘. Il gesto della lavanda dei piedi è generativo di un nuovo modo di essere dei discepoli di Gesù: essi non sono chiamati solamente a porre gesti di servizio ma a ‘divenire servi‘. In qualche misura questo segno è un evento da cui scaturisce l‘essere stesso della Chiesa.
Si potrebbe sinteticamente affermare che con questo gesto, Gesù ha stilato la costituzione della Chiesa e ne ha firmato l‘atto di fondazione. La Chiesa o è serva del Signore e dell‘Uomo o non è Chiesa.
La lavanda dei piedi ci insegna che dobbiamo alzarci da quella tavola, dove si sta bene, a volte circondati dal calore della comunità e deporre le vesti e indossare il grembiule, cingerci dell‘asciugamano e cominciare a lavare i piedi ai fratelli.
Tra poco anch‘io deporrò i paramenti, indosserò il grembiule e passerò a lavare i piedi ad alcuni fratelli e ad alcune sorelle, perché non solo hanno compiuto gesti di servizio nei diversi ambiti della vita ecclesiale: la liturgia, l‘educazione alla fede, la carità e la testimonianza nel sociale, ma perché hanno cercato ‘ con tutto lo slancio e il limite della nostra natura umana ‘ di essere l‘icona vivente di una Chiesa che, come il suo Maestro, non è nel mondo per farsi servire ma per servire.
Ogni battezzato, ogni consacrato o consacrata, ogni ministro ordinato è chiamato ad indossare il grembiule, cingersi dell‘asciugamano e percorrere le strade del mondo lavando i piedi ai fratelli. È necessario andare incontro alle persone nelle loro case, nei luoghi di lavoro, negli ospedali, nel carcere, in tutti i luoghi dell‘umana esistenza. Dobbiamo sentirci servi nell‘animazioni delle celebrazioni liturgiche, nel generare e nel trasmettere la fede alle giovani generazioni, nell‘esercizio della carità e nella testimonianza nel mondo sociale e culturale.
Ci accompagni nel nostro cammino ‘ di servizio alla Chiesa e al mondo ‘ la Vergine Maria, la Serva del Signore, la nostra Madonna di Monte Berico.
Vorrei concludere questa omelia ricordando i nostri sacerdoti fidei donum in Camerun, in Brasile e in Thailandia. In modo del tutto particolare ricordiamo don Gianantonio, don Giampaolo e suor Gilberte, ancora nelle mani dei loro sequestratori. Lo faccio con le parole di un Padre della Chiesa Orientale: ‘Vidi il Signore che lavava i piedi ai discepoli pieno di gioia e che serviva con il volto radioso. Quando prese i loro piedi, essi non si consumarono e quando versò l‘acqua non bruciarono. Lavò ogni dolore, ogni fatica e li fece riposare perché dovevano riprendere il cammino. E disse loro: andate per le strade senza paura e proclamate nelle città la mia parola. Predicate in esse la buona novella e negli uomini infondete l‘amore‘ (Cyrillonas, La lavanda dei piedi).
Signore Gesù, Tu che hai amato ciascuno di noi fino al dono totale della Tua vita, fermati, questa sera, accanto ai nostri fratelli e alla nostra sorella rapiti, indossa ancora una volta il grembiule e passa a lavare i loro piedi, i loro dolori e le loro fatiche, perché possano riprendere liberi il loro cammino, e noi possiamo cantare insieme a loro: ‘come sono belli sui monti i piedi dei messaggeri che annunciano la pace‘ (cfr Is 52,7). Amen.