SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE(Vicenza, chiesa cattedrale, 2 aprile 2015)

Carissimi fratelli e sorelle,
 carissimi canonici, sacerdoti, diacono,
 consacrati e consacrate,
 amici ascoltatori di Radio Oreb.

 La Chiesa – con la celebrazione eucaristica vespertina del Giovedì Santo – entra nel periodo più sacro dell’Anno Liturgico, i giorni che già Sant’Agostino denominava con una espressione particolarmente efficace, il “Triduo di Gesù crocifisso, sepolto e risorto”.
 Il Triduo Sacro inizia con la Messa “nella cena del Signore”, in cui la co-munità cristiana fa memoria dell’Istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale e, insieme, rivive il comandamento della carità fraterna, così come ce ne dà testimonianza il Vangelo di Giovanni.

 Le tre letture di oggi ci presentano tre fatti, più precisamente il resoconto di tre cene. Il brano dell’Esodo presenta il Signore che detta a Mosè e ad Aronne, fin nei particolari più minuziosi, le modalità di svolgimento della cena pasquale del popolo ebreo schiavo in Egitto. Nella lettera ai Corinti, Paolo, ricostruendo fedelmente gesti e parole, trasmette ai suoi il mandato dell’ultima cena, che a sua volta ha ricevuto. Nel Santo Evangelo, Giovanni approfondisce il senso dell’Istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù durante la cena, con l’episodio della lavanda dei piedi. Nella fede, come nella vita, l’azione e i fatti hanno il primato sulla riflessione e sulla teoria.
 Il Signore ci parla e si fa conoscere attraverso circostanze concrete, incontri sorprendenti, vicende liete e tristi, in luoghi e tempi particolari della nostra esistenza.

 La Pasqua degli Ebrei ha origine in terra d’Egitto, terra di schiavitù e di oppressione, perfino il canto non sorge più dal cuore: «Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni i nostri oppressori: “cantateci i canti di Sion!”. Come cantare i canti del Signore in terra straniera?» (Sal 137). In un preciso momento della storia il Signore Dio chiama il suo popolo alla libertà, durante una cena collettiva. In quella notte, mentre gli ebrei stanno mangiando la carne arrostita al fuoco, insieme al pane non lievitato – il pane azzimo – e alle erbe amare, pronti per partire, con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, Dio passa, compie la sua Pasqua, che diventerà per sempre la Pasqua del suo popolo: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14).

 In un altro preciso momento della storia, sempre durante una cena, preparata con cura, in una casa, al piano superiore, avviene un fatto straordinario e inaudito, che segnerà la storia della famiglia umana per sempre. Ce lo ricorda l’Apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinti: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane… e disse “Questo è il mio corpo che è per voi”… Prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue… Fate questo in memoria di me”» (1Cor 11,23-26).
 In quella notte, in quel momento preciso, attraverso dei gesti e delle parole, attraverso dei fatti precisi, Gesù anticipava nei segni del pane e del calice la sua totale donazione: corpo donato e sangue versato, una consegna totale di sé che – il giorno dopo – si sarebbe compiuta sul legno della Croce. In quei gesti, in quelle parole, in quel fatto, Gesù ci ha salvati dai nostri peccati personali, dal peccato del mondo e dalla morte eterna.

 Ma un altro fatto sorprendente e decisivo entra per sempre nella storia della Chiesa e del mondo, durante una cena – l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli: «Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13,3-5). Se il gesto e le parole sul pane e sul vino significano il dono che Gesù fa di se stesso per i suoi fino a morire, il gesto della lavanda dei piedi significa il servizio di amore reciproco – umile e fedele – che dovrà caratterizzare la comunità messianica nelle sue relazioni interne ed esterne. Non viene consegnato ai discepoli un gesto rituale da “fare in memoria” di Gesù, ma un gesto di servizio che essi dovranno “fare gli uni agli altri così come ha fatto” il Maestro per loro. Il comandamento nuovo dato da Gesù ai discepoli – amarsi gli uni gli altri come Lui ci ha amati (cfr. Gv 13,34) – non va inteso come un richiamo a una generica solidarietà. Il Vangelo chiede, invece, qualcosa di diverso, qualcosa di più: amare come Gesù ha amato.
 Il sacramento dell’Eucaristia e il sacramento del servizio al fratello – a ogni fratello senza alcuna distinzione – provocano continuamente la comunità cristiana e ogni singolo battezzato alla conversione personale, ma anche alla “riconversione evangelica” di tutte le strutture di peccato che contaminano il nostro mondo: le ingiustizie sociali, le guerre, l’inquinamento del pianeta, la moltitudine di persone costrette a fuggire dal loro paese.

 Carissimi, tra poco compirò il gesto della lavanda dei piedi ad alcuni fra-telli e sorelle, consacrati e consacrate. Con questo gesto intendo far conoscere e riconoscere questo grande dono che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa univer-sale e alla nostra Chiesa particolare: la Vita Consacrata.
 La Vita Consacrata, profondamente radicata negli esempi e negli inse-gnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito. L’abbondanza delle forme storiche di Vita Consacrata – alcune di esse sono sorte nel tessuto della nostra Diocesi di Vicenza – si presentano come una pianta dai molti rami, che affonda le sue radici nel Vangelo e produce frutti copiosi in ogni stagione della storia della Chiesa.
 Voglio esprimere a tutti i consacrati e consacrate presenti nella nostra Diocesi, la gratitudine e la riconoscenza per la loro fedele testimonianza di vita e per il loro generoso servizio a favore di tanti fratelli e sorelle, nei più svariati ambiti dell’umana esistenza.

 Il Giovedì Santo è un giorno di gratitudine e di gioia per il grande dono dell’amore sino alla fine, che il Signore ci ha fatto. Vogliamo pregare Dio, in quest’ora, affinché gratitudine e gioia diventino in noi la forza di amare ogni fratello e ogni sorella con il suo stesso amore. Amen!

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza