Desidero rivolgere un caro saluto a tutti voi, fratelli e sorelle in Cristo,
ai canonici, presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate,
ministri straordinari della Comunione,
un cordiale saluto agli amici ascoltatori di Radio Oreb.
In questa solenne celebrazione del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ci lasciamo condurre, quasi per mano, dalla Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture che abbiamo ascoltato.
Inizia così la lettura tratta dal primo Libro dei Re: «In quel tempo Elia si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire disse: “Ora basta, Signore, prendi la mia vita”» (1Re 19,4).
Ci chiediamo: come mai il profeta Elia, che aveva compiuto grandi prodigi, aveva ordinato alla pioggia di non irrorare la terra per tre anni, aveva sfidato e vinto i profeti di Baal sul monte Carmelo, ora si inoltra nel deserto e desidera morire? Perché Gezabele, la moglie del re Acab, lo aveva costretto a erigere un tempio alle divinità pagane adorate in Fenicia, siccome il profeta si era opposto, lei ordina di cercarlo e ucciderlo.
Elia non ha scelte, si deve rassegnare alla sconfitta. Prima si nasconde e poi fugge verso il sud, vuole raggiungere il monte di Dio, l’Oreb, dove Mosé, 400 anni prima, aveva incontrato il Signore. La traversata del deserto è impegnativa e piena di difficoltà; egli resiste fin che può e poi si arrende. Si siede sotto un albero e invoca la morte. Elia ha bisogno di forza e di coraggio e il vigore gli viene dal pane e dall’acqua che l’angelo del Signore gli fa trovare accanto.
Dio non sottrae alla prova il suo profeta, non lo solleva dalla fatica, non lo dispensa dal faticoso viaggio; egli deve affrontare le difficoltà del deserto con il sostegno di una focaccia di pane e di un orcio di acqua.
Il brano si conclude con queste parole: «Con la forza datagli da quel cibo, Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio l’Oreb» (1Re 19,8).
La vicenda di Elia è la nostra. Ci sono momenti in cui ci sentiamo come il profeta, profondamente delusi e scoraggiati e non troviamo conforto né in Dio, né nella fede e neppure nei fratelli della comunità.
Ma Dio non si dimentica di noi, è sempre al nostro fianco, ci accompagna, non ci esenta dalla fatica del lavoro, dalle contraddizioni dell’esistenza, dalla testarda realtà quotidiana.
La narrazione dell’episodio dei discepoli di Emmaus, che abbiamo ascoltato nel Vangelo odierno, ci presenta, seppur in un altro contesto, una vicenda simile a quella del profeta Elia.
Due discepoli di Gesù, uno di nome Cleopa, che lo hanno seguito durante la vita pubblica fino alle ore drammatiche della sua passione e morte in croce, delusi e sfiduciati lasciano Gerusalemme, il luogo in cui sono accaduti questi eventi, e ritornano a Emmaus, loro paese di origine. Tutto sembra finito, ogni speranza in Gesù di Nazareth è tramontata, ma rimangono comunque impressi nel loro cuore tutti gli avvenimenti a cui avevano partecipato. C’è anche una inquietudine interiore che li accompagna, a cui non sanno dare un significato.
Alcune donne della comunità dei discepoli si sono recate al sepolcro e lo hanno trovato vuoto, senza il corpo del Signore Gesù; là si recano alcuni discepoli e constatano che il sepolcro è vuoto. Sul loro cammino si affianca un pellegrino sconosciuto, che intreccia un dialogo con loro e a un certo punto spiega le Scritture in modo nuovo, diverso da come loro le intendevano.
Arrivati al villaggio di Emmaus, si fermano per la cena e qui avviene qualcosa di semplice e, allo stesso tempo, di sconvolgente: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30).
Stare a tavola significa dividere il pane della medesima umanità, ascoltare domande nuove, sentirsi partecipi di un cammino comune, mettersi a servizio dei poveri, soccorrere le fragilità, occuparsi di quelli che nessuno vede.
Davanti a questo gesto e a queste parole: «Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31). La consumazione di questo pane e il dono della fede cambiano la loro tristezza in gioia, cambiano i loro progetti e si mettono nuovamente in cammino, con cuore e mente rinnovati e ritornano nella comunità originaria dove c’è Pietro e gli altri discepoli e condividono la medesima esperienza di fede: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34).
L’esperienza eucaristica della frazione del pane resterà per sempre nella Chiesa il centro, il cuore, il fondamento e il culmine della sua vita e della sua missione. L’Eucaristia non appartiene solo ai battezzati e alle comunità cristiane; noi dobbiamo testimoniare e proporre a tutti una esperienza di vita, che assuma una forma, una dimensione eucaristica.
L’Eucaristia è il pane di coloro che sono in cammino, è panis viatorum, ed è sostegno per chi è sulla via, è “viatico”. Così si esprimeva papa Benedetto XVI: “La solennità del Corpus Domini intende celebrare cosmicamente l’Eucaristia; intende portarla sulle nostre strade e le nostre piazze come un modello. La processione, che in esse ha luogo, è come un forte grido, che si leva al Dio vivente: non permettere che la tua terra sia distrutta dall’odio e dall’arroganza dell’uomo.
Guidaci, Signore, sulle strade di questa nostra storia!
Mostra alla Chiesa e ai suoi Pastori sempre di nuovo il giusto cammino!
Guarda l’umanità che soffre, che vaga tra tanti interrogativi;
guarda la fame fisica e psichica che la tormenta.
Dona agli uomini pane per il corpo e per l’anima.
Da’ loro il lavoro.
Radunaci da tutti i confini della terra.
Unisci la tua Chiesa,
unisci l’umanità lacerata!
Donaci la tua salvezza! Amen!”.
ai canonici, presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate,
ministri straordinari della Comunione,
un cordiale saluto agli amici ascoltatori di Radio Oreb.
In questa solenne celebrazione del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo ci lasciamo condurre, quasi per mano, dalla Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture che abbiamo ascoltato.
Inizia così la lettura tratta dal primo Libro dei Re: «In quel tempo Elia si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire disse: “Ora basta, Signore, prendi la mia vita”» (1Re 19,4).
Ci chiediamo: come mai il profeta Elia, che aveva compiuto grandi prodigi, aveva ordinato alla pioggia di non irrorare la terra per tre anni, aveva sfidato e vinto i profeti di Baal sul monte Carmelo, ora si inoltra nel deserto e desidera morire? Perché Gezabele, la moglie del re Acab, lo aveva costretto a erigere un tempio alle divinità pagane adorate in Fenicia, siccome il profeta si era opposto, lei ordina di cercarlo e ucciderlo.
Elia non ha scelte, si deve rassegnare alla sconfitta. Prima si nasconde e poi fugge verso il sud, vuole raggiungere il monte di Dio, l’Oreb, dove Mosé, 400 anni prima, aveva incontrato il Signore. La traversata del deserto è impegnativa e piena di difficoltà; egli resiste fin che può e poi si arrende. Si siede sotto un albero e invoca la morte. Elia ha bisogno di forza e di coraggio e il vigore gli viene dal pane e dall’acqua che l’angelo del Signore gli fa trovare accanto.
Dio non sottrae alla prova il suo profeta, non lo solleva dalla fatica, non lo dispensa dal faticoso viaggio; egli deve affrontare le difficoltà del deserto con il sostegno di una focaccia di pane e di un orcio di acqua.
Il brano si conclude con queste parole: «Con la forza datagli da quel cibo, Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio l’Oreb» (1Re 19,8).
La vicenda di Elia è la nostra. Ci sono momenti in cui ci sentiamo come il profeta, profondamente delusi e scoraggiati e non troviamo conforto né in Dio, né nella fede e neppure nei fratelli della comunità.
Ma Dio non si dimentica di noi, è sempre al nostro fianco, ci accompagna, non ci esenta dalla fatica del lavoro, dalle contraddizioni dell’esistenza, dalla testarda realtà quotidiana.
La narrazione dell’episodio dei discepoli di Emmaus, che abbiamo ascoltato nel Vangelo odierno, ci presenta, seppur in un altro contesto, una vicenda simile a quella del profeta Elia.
Due discepoli di Gesù, uno di nome Cleopa, che lo hanno seguito durante la vita pubblica fino alle ore drammatiche della sua passione e morte in croce, delusi e sfiduciati lasciano Gerusalemme, il luogo in cui sono accaduti questi eventi, e ritornano a Emmaus, loro paese di origine. Tutto sembra finito, ogni speranza in Gesù di Nazareth è tramontata, ma rimangono comunque impressi nel loro cuore tutti gli avvenimenti a cui avevano partecipato. C’è anche una inquietudine interiore che li accompagna, a cui non sanno dare un significato.
Alcune donne della comunità dei discepoli si sono recate al sepolcro e lo hanno trovato vuoto, senza il corpo del Signore Gesù; là si recano alcuni discepoli e constatano che il sepolcro è vuoto. Sul loro cammino si affianca un pellegrino sconosciuto, che intreccia un dialogo con loro e a un certo punto spiega le Scritture in modo nuovo, diverso da come loro le intendevano.
Arrivati al villaggio di Emmaus, si fermano per la cena e qui avviene qualcosa di semplice e, allo stesso tempo, di sconvolgente: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30).
Stare a tavola significa dividere il pane della medesima umanità, ascoltare domande nuove, sentirsi partecipi di un cammino comune, mettersi a servizio dei poveri, soccorrere le fragilità, occuparsi di quelli che nessuno vede.
Davanti a questo gesto e a queste parole: «Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31). La consumazione di questo pane e il dono della fede cambiano la loro tristezza in gioia, cambiano i loro progetti e si mettono nuovamente in cammino, con cuore e mente rinnovati e ritornano nella comunità originaria dove c’è Pietro e gli altri discepoli e condividono la medesima esperienza di fede: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,34).
L’esperienza eucaristica della frazione del pane resterà per sempre nella Chiesa il centro, il cuore, il fondamento e il culmine della sua vita e della sua missione. L’Eucaristia non appartiene solo ai battezzati e alle comunità cristiane; noi dobbiamo testimoniare e proporre a tutti una esperienza di vita, che assuma una forma, una dimensione eucaristica.
L’Eucaristia è il pane di coloro che sono in cammino, è panis viatorum, ed è sostegno per chi è sulla via, è “viatico”. Così si esprimeva papa Benedetto XVI: “La solennità del Corpus Domini intende celebrare cosmicamente l’Eucaristia; intende portarla sulle nostre strade e le nostre piazze come un modello. La processione, che in esse ha luogo, è come un forte grido, che si leva al Dio vivente: non permettere che la tua terra sia distrutta dall’odio e dall’arroganza dell’uomo.
Guidaci, Signore, sulle strade di questa nostra storia!
Mostra alla Chiesa e ai suoi Pastori sempre di nuovo il giusto cammino!
Guarda l’umanità che soffre, che vaga tra tanti interrogativi;
guarda la fame fisica e psichica che la tormenta.
Dona agli uomini pane per il corpo e per l’anima.
Da’ loro il lavoro.
Radunaci da tutti i confini della terra.
Unisci la tua Chiesa,
unisci l’umanità lacerata!
Donaci la tua salvezza! Amen!”.
† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza