Una Luce rifulse

Lettera di Natale di mons. Beniamino Pizziol
25 dicembre 2015
 

Carissimi,

 

Il mistero del Natale ci raggiunge, anche quest’anno, avvolgendoci con la sua luce. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse», proclama il profeta Isaia. L’annuncio del Natale è mistero di luce poiché il Bimbo Gesù nato dalla Vergine libera l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte: è il Redentore del mondo.

 È sorprendente rendersi conto che il primo atto salvifico, da parte del Verbo eterno, è quello di chiedere asilo, albergo, rifugio: nel grembo di Maria prima, nella mangiatoia a Betlemme poi e ancora a Nazareth, Sicar, Gerico, Betania, fino a Gerusalemme. I Vangeli descrivono una geografia dell’accoglienza. Il primo dono di Gesù è, paradossalmente, una richiesta: “prenditi cura di me”. L’ammissione di un bisogno e il riconoscimento di una povertà, diventano nei Vangeli il luogo di un amore creativo, sempre nuovo, sollecito, imprevedibile. È sempre l’amore che custodisce la vita. Ecco perché la debolezza del Bambino a Betlemme racconta l’Amore affidabile che mai abbandona e sempre rigenera. Questa è la luce, l’unica vera luce, che splende nelle tenebre e nel buio del mondo, che non può essere sopraffatta. Fin dal tempo di Avvento, una bellissima e antichissima orazione ci ha fatto pregare dicendo: «Sorga in noi, Dio onnipotente, lo splendore della tua gloria, Cristo tuo unico Figlio; la sua venuta vinca le tenebre del male e ci riveli al mondo come figli della luce». I “figli della luce” sanno che ogni forma di terrorismo e di fanatismo, da qualunque parte e da qualunque ideologia provenga, è tenebra di male. I “figli della luce” sanno che la produzione, il commercio, la vendita di armi fa grondare il mondo di sangue innocente. I “figli della luce” sanno che la guerra non può essere scongiurata, se non si disarma il cuore dall’odio e dalla violenza, sia tra le mura domestiche che tra le nazioni. Che nessun suicidio od omicidio, nessuna strage, possono essere compiuti a gloria di Dio. I “figli della luce” lo sanno da Cristo, lo hanno imparato da Lui e continuamente lo imparano celebrandone la nascita, la morte e la resurrezione.

 

La fatica della fede, in questo Natale, sta nel saper leggere gli avvenimenti attuali alla luce dei vangeli della nascita di Gesù. Professare la fede nel Verbo incarnato non ci estranea dalla terra, non ci distacca dalla vita, ma è appassionata fedeltà al mondo. Se la cronaca ci divora con il torrente impetuoso delle notizie, mettendoci addosso tanta rabbia e paura, risentimento e senso di impotenza, l’ascolto orante della Parola ci spinge a cogliere l’occasione propizia, il tempo provvidenziale perché Cristo continui in noi la sua opera di misericordia. Tutto il dramma umano è stato visitato e assunto da Cristo. Intorno a lui vediamo infatti sfilare le mille forme del peccato umano. Un potente che domina massacrando (Erode), degli eruditi che occultano la realtà sotto il velo delle carte (scribi), alcuni uomini pii prostrati davanti a Dio per non chinarsi sui fratelli (sommi sacerdoti) e tutta una folla di gente senza nome (Gerusalemme) che trent’anni dopo saprà scatenare, sobillata, una ferocia senza volto. Gesù, con Maria e Giuseppe, rispondono alla potenza del peccato con la forza della misericordia. Con tenacia, gli uni nelle mani degli altri, affrontano il quotidiano nella dedizione fatta di tenerezza e di condivisione della gioia e della fatica di ogni giorno. Questa sinergia originata dalla presenza di Cristo, plasma la storia facendo germogliare da essa l’umanità nuova. Oggi come ieri.

 

Testimoni di questo prodigio sono innanzitutto i pastori, immagine di quanti proteggono e nutrono il fratello senza cedere alla fatica del vivere, alla tentazione dell’egoismo. Essi vegliano, sopportano, tengono gli occhi e le orecchie aperte affinché nulla accada di male a quanti sono loro affidati. I pastori di Betlemme ci mostrano che la speranza è una virtù operosa. Essa è offerta a quanti maturano la propria identità e storia di credenti vivendo seriamente la propria umanità.

 

Testimoni della salvezza sono anche i Magi, attenti osservatori di quei bagliori luminosi che nel cielo annunciano l’avvento di una realtà nuova. Pure loro insonni e instancabili, cercano luce nella notte e, una volta vista sorgere la Stella, la seguono intrepidi, avvinti dalla sua bellezza, incuranti delle incertezze. I Magi, uomini che provenendo dall’Oriente, portano impresso nella loro indole un desiderio insopprimibile di aurora.

Testimone di salvezza è anche il cosmo intero nel suo incolmabile anelito ad essere interpretato, lavorato, manifestato in quella bellezza che rimarrebbe parziale e balbettante senza l’opera sapiente e creativa delle mani dell’uomo. Nelle icone orientali le montagne che circondano e ospitano la grotta della natività/resurrezione sono corrugate da un fremito capace di romperne le zolle, quasi fossero pasta che cresce a motivo del lievito nuovo. La terra vuole essere continuamente liberata «dal contagio dell’antico male» per «far parte della nuova creazione» (Colletta del 3 gennaio).  

 

Il Natale inaugura il tempo della misericordia. L’amore non può essere rimandato. Maria non rimanda il suo sì, Giuseppe non rimanda il suo sposalizio, i pastori non attendono altri angeli né i magi altra stella. Erode e la sua corte invece sì, hanno altro da fare. Non hanno tempo di farsi amare dal Salvatore che salva facendosi amare. Il Natale inaugura anche lo spazio della salvezza.  Andare a Betlemme significa misurarsi con un corpo, quello del Salvatore, che nella sua fragilità si offre per essere nutrito, dissetato, vestito, alloggiato, visitato, curato e un giorno anche sepolto. I nostri occhi si aprono sulla vita dei fratelli che abbiamo accanto perché la loro esistenza, luogo della nascosta presenza divina, cambi indelebilmente la nostra. La misericordia lega la Chiesa e l’umanità tutta nella pratica di relazioni nuove. Buone non buoniste, giuste non giudicanti. La misericordia infatti è un sentimento generativo, è partire dalla commozione per la vita perché la promessa di bene che Dio vi ha seminato giunga al suo frutto. Costi quel che costi, senza calcoli. L’agire che sgorga da viscere compassionevoli viene sempre dall’Alto. Questa consapevolezza ci affratella con le grandi tradizioni ebraica e musulmana che salutano Dio come il Misericordioso.

A ciascuno di voi, alle vostre famiglie e alle vostre comunità auguro di cuore un Natale sereno, in cui diventare grembo accogliente per Gesù e con Lui testimoni della Misericordia del Padre per ogni creatura.


 

† Beniamino Pizziol

Vescovo di Vicenza

25/12/2015