OMELIA DEL VESCOVO GIULIANO NELLA S. MESSA CRISMALE

Cattedrale di Vicenza 28 marzo 2024

OMELIA DEL VESCOVO GIULIANO NELLA S. MESSA CRISMALE

Cattedrale di Vicenza, 28 marzo 2024

 

Letture: Is 61,1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21

Il profeta Isaia ci ha richiamato la sua vocazione e missione. Raggiunto dallo Spirito del Signore Dio che lo ha consacrato con l’unzione, viene inviato a dare una buona notizia a chi soffre, a fasciare i cuori lacerati, a proclamare l’amnistia ai detenuti, ai prigionieri la libertà (trad. Alonso Schökel – Sicre Diaz).

La missione del profeta si condensa nel: proclamare l’anno di grazia del Signore e il giorno della rivincita del nostro Dio. Due annunci: da un lato il Signore fa grazia andando incontro al popolo sofferente per risarcirlo con nuove possibilità di vita, dall’altro esprimerà soprattutto verso i membri indegni della comunità ebraica la sua giustizia. Isaia aveva affermato in precedenza: Pagherà a ciascuno quel che si merita: al suo nemico, furia; al suo avversario, rappresaglia (59,18). Ma quando Gesù legge il passo di Isaia, sopprime questa ultima frase, perché troppo ambigua per ciò che lui stesso era chiamato a compiere con la sua persona. Né rivincita e neppure vendetta trovano ospitalità nel cuore del Figlio di Dio. Soltanto l’anno di grazia egli proclama.

Tornando ad Isaia: si diffonderanno a tutto il popolo eletto: consolazione, corona sul capo, olio di letizia e veste di lode. Gli stranieri si occuperanno della coltivazione dei campi e della pastorizia così il popolo d’Israele potrà finalmente dedicarsi agli uffici sacri. Perciò prende un nome nuovo che indica il nuovo ruolo: tutto il popolo eletto è popolo sacerdotale. Con questo popolo il Signore farà spuntare la giustizia davanti a tutte le nazioni (Is 61,11).

Soffermiamo la nostra attenzione sulla profezia del popolo sacerdotale. L’Apocalisse ci ha ricordato che Gesù Cristo risorto dai morti ci ama e grazie al suo Amore – che libera dalla schiavitù dei peccati – ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre. Il nostro coinvolgimento con Cristo ha raggiunto tutto il nostro essere umano grazie alla sua umanità: al suo farsi carne per prendere dimora in mezzo a noi (Gv 1,14).

Nel Concilio Vaticano II (in LG 10) è stata ripresa la visione neotestamentaria secondo la quale noi grazie alla rigenerazione battesimale e l’unzione dello Spirito Santo siamo stati consacrati per essere un’abitazione spirituale, un sacerdozio santo, e poter così offrire in sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano, e annunciare i prodigi di colui che dalle tenebre ci ha chiamati alla sua luce ammirabile. Noi tutti – giovani e anziani, bambini, sposi, laici, consacrate e consacrati, diaconi, presbiteri uniti al vescovo – noi tutti siamo questo popolo. Prima delle differenze gerarchiche e carismatiche vi è questa chiamata e missione. Siamo accomunati da una tale grazia e dignità. Potessimo, come popolo di Dio, riscoprire tutti la grandezza della nostra vocazione e missione.

Il Concilio ci ha indicato anche come esprimere il nostro sacerdozio quando afferma (sempre in LG 10): Tutti i discepoli di Cristo, quindi, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cf At 2,42-47), offrano se stessi come oblazione vivente, santa, gradita a Dio (cf Rm 12,1), rendano ovunque testimonianza a Cristo, e rendano ragione, a chi lo richieda, della speranza della vita eterna che è in loro (1Pt 3,15).

Carissimi, quando nelle scorse settimane ci siamo messi in ascolto nei vicariati per comprendere vie nuove di annuncio del Vangelo in questo nostro tempo e per ritrovare il nuovo volto di Chiesa che il Signore ci sta indicando, nei gruppi eravamo accomunati dalla dignità battesimale senza distinzioni di ruoli. Ruoli differenti, certamente ci sono, ma chi ha un ruolo di autorità non deve estraniarsi dall’ascoltare. Semmai ha una responsabilità in più nel promuovere l’ascolto e il coinvolgimento di tutti.

Tutti i battezzati hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo. Alcuni, forse, faticano a portarne consapevolezza. Ma in questo tempo di crisi avvertiamo il desiderio di avere grandi visioni rivolte al futuro. Ne sono certo: avremo visioni se resteremo pazientemente in ascolto di tutti, anche – scusate se oso dire – soprattutto delle nuove generazioni, in particolare dei giovani che invocano un nuovo protagonismo nella Chiesa.

Sapremo darci questo tempo? Sapremo allargare sempre più l’ascolto andando in cerca anche della pecora perduta?

La prima attività del popolo sacerdotale indicata dal Concilio è la preghiera perseverante e la lode a Dio. Un popolo che personalmente e comunitariamente – anche in famiglia – vive la preghiera. Abbiamo sentito come Gesù era solito frequentare la sinagoga di Nazaret. La sinagoga era luogo di preghiera e di ascolto delle Sacre Scritture. Gli evangelisti ci narrano poi che Gesù aveva tempi personali di unione intima con il Padre. Egli ha insegnato ai discepoli a pregare e alcuni li ha coinvolti in esperienze spirituali molto forti come la trasfigurazione.

Ma dove sta il vero motivo che ci spinge a pregare con perseveranza? Non sta in noi. Sta in Cristo, il quale risorto è vivo e intercede per noi.

Nella persona umano-divina di Gesù che, passando attraverso la passione e la morte, giunge alla risurrezione e sale definitivamente presso il Padre, conosciamo la più grande confidenza in Dio. Come afferma l’autore della Lettera agli Ebrei, con l’offerta di tutta la sua vita Cristo, sommo sacerdote, può salvare perfettamente quelli che si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore (Eb 7,25). Gesù risorto, che si è manifestato ai suoi discepoli mostrando le piaghe gloriose, una volta asceso al cielo ci ha donato lo Spirito Santo per continuare quanto aveva iniziato a fare qui sulla terra. Ce lo narra San Giovanni riportando la grande preghiera sacerdotale che Gesù eleva al Padre prima del suo arresto: Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola, come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17,2-21).

Fermiamoci in contemplazione di Gesù che ha una così grande confidenza verso il Padre. In quella confidenza ci siamo anche noi e c’è pure il nostro ministero presbiterale ed episcopale di annuncio e di intercessione.

Papa Francesco, in preparazione all’anno giubilare nel quale siamo chiamati a diventare autentici pellegrini di speranza, ci ha invitato a ravvivare la preghiera. Un invito rivolto a tutti nelle diverse forme di preghiera maturate lungo i secoli le cui radici stanno nella Parola e nei Sacramenti.

Riflettendo sul mio servizio a favore del popolo di Dio, ho desiderato condividere qualche spunto di riflessione con il presbiterio sulla preghiera di intercessione. In essa il nostro personale cammino di fede si intreccia e salda fortemente con quello delle persone che ci sono state affidate e al servizio delle quali siamo stati posti.

Mi permetto – con l’ultimo capitolo di Evangelii Gaudium di papa Francesco – di rivolgere un invito: confidiamo davvero nella forza missionaria della preghiera di intercessione. Il Papa ci aiuta a cogliere nell’interiorità del grande evangelizzatore Paolo la profondità e la bellezza della sua preghiera: «Tale preghiera era ricolma di persone: “Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia […] perché vi porto nel cuore” (Fil. 1,47)». E più avanti riprende l’Apostolo quando afferma ai Filippesi: «“Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi” (Fil. 1,3). Non è uno sguardo incredulo, negativo e senza speranza, ma uno sguardo spirituale, di profonda fede, che riconosce quello che Dio stesso opera in loro. Al tempo stesso, è la gratitudine che sgorga da un cuore veramente attento agli altri. In tale maniera, quando un evangelizzatore riemerge dalla preghiera, il suo cuore è diventato più generoso, si è liberato dalla coscienza isolata ed è desideroso di compiere il bene e di condividere la vita con gli altri» (nn. 281-282).

Ci farà davvero molto bene alimentare il cammino diocesano di conversione pastorale in senso missionario, con la preghiera di intercessione, pregando gli uni per gli altri.

†  Giuliano Brugnotto
vescovo di Vicenza

 

Foto: Piero Baraldo