CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE di Mons. GIOVANNI SONDA – Vicenza – Chiesa di San Rocco, 7 giugno 2023

CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE di Mons. Giovanni Sonda

Vicenza – Chiesa di San Rocco, 7 giugno 2023

Letture: Tb 3,1-11.16-17; Sal 24; Mc 12,18-27; Mc 12,18-27

 

Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Professando con fede queste parole di Gesù, noi desideriamo non cadere nell’errore di compiere un gesto puramente materiale: consegnare alla terra il corpo di Mons. Giovanni Sonda. Infatti, anche quelli tra noi che si ritengono discepoli del Maestro, possono cadere nell’errore che per questo confratello tutto sia oramai finito. Si potrebbe essere delle persone religiose ma al contempo ritenere che la risurrezione sia frutto di una congettura semplicemente umana, priva di alcun fondamento sul reale. I sadducei, al tempo di Gesù, sono persone religiose e non credono nella risurrezione. E pongono una domanda a Gesù a partire da un caso che assomiglia a quanto avvenuto molti secoli prima a Sara, una donna davvero segnata da condizioni avverse: per ben sette volte aveva celebrato matrimonio e prima di unirsi al marito che aveva sposato rimaneva vedova. Una condizione di pena insopportabile per Sara che rinuncia a togliersi la vita e con grande fiducia si rivolge al Dio misericordioso.

Ebbene la richiesta dei sadducei è quella di avere una spiegazione dal Maestro Gesù: una volta risorta, questa donna di chi sarà moglie? In quanto uomini religiosi richiamano a Gesù una prescrizione che si trova nella Bibbia e che aveva dato Mosè: il fratello o il parente più prossimo del marito morto senza lasciare figli, aveva l’obbligo di sposare la moglie per garantire una discendenza al defunto. Quindi i sadducei, invocano la testimonianza di Mosè per evidenziare che è impossibile ci sia la risurrezione dei morti.

Come risponde Gesù? Innanzitutto sottolineando l’assoluta differenza della condizione umana presente da quella futura. Questo accade anche a noi: pensare che la condizione da risorti sia simile a quella attuale. Gesù, il Figlio di Dio, che proviene dal seno del Padre e tornerà al Padre da risorto, reca in sé una percezione chiara della differenza. E poi, Gesù, richiama l’esperienza mistica di Mosè, quando davanti al roveto che arde senza consumarsi incontra Dio che gli rivela il suo nome: Io sono il Dio di tuo padre, lo stesso Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe (Es. 3,6). È proprio nella Sacra Scrittura, accolta senza pregiudizi, che si può rinvenire quanto Dio abbia a cuore la condizione di precarietà degli uomini e si ponga al loro fianco per liberarli da ogni forma di schiavitù e salvarli dal male. Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da mandare suo Figlio non per condannare il mondo bensì per salvarlo e condurlo nella Sua gloria.

Noi, oggi, non vogliamo cadere in errore e ci fidiamo del Maestro che ha interpretato le Sacre Scritture con la sua stessa vita: donando tutto se stesso per Amore. Lui, il Signore risorto, prenda per mano anche questo nostro fratello don Gianni e lo accompagni nella nuova condizione di vita. Per questo noi preghiamo oggi.

La preghiera ha caratterizzato la vita di don Gianni: quando parlava della preghiera usava il termine ardor, una percezione simile al santo timore di Mosè prostrato davanti al roveto ardente. Un confratello ricorda: «Quando nella cappella […] dei sacerdoti a San Rocco, ci si sedeva insieme a pregare, don Gianni iniziava ad esprimere il suo stupore nel pensare alla presenza reale, vera, e personale di Gesù nel pane consacrato: la presenza di Colui per il quale tutto esiste, che il mondo non riesce a contenere, eppure è lì presente davanti a noi» (don Giandomenico Tamiozzo).  Quel santo timore e stupore nell’incontro con Dio è stato alimentato dall’ascolto fedele del Vangelo. Don Gianni amava la Parola di Dio e la sapeva commentare sapientemente, arricchendo la predicazione con spunti raccolti da autori della cultura contemporanea; per anni ha commentato alla radio vaticana il Vangelo della domenica.

Le preghiere di Tobi e di Sara, ascoltati nella prima lettura, ci riconducono anche a quelle situazioni di vita nelle quali noi incontriamo delle prove che mettono a nudo la nostra umanità fragile. Tobi, deportato vuole rimanere fedele al Signore, ma diventa cieco e non può più lavorare e provvedere alla sua famiglia. Sara, come abbiamo ricordato, è per la settima volta nella condizione di vedovanza. Ebbene, in queste situazioni penose entrambi si rivolgono a Dio. Come ci ha ricordato il racconto: La preghiera di ambedue fu accolta davanti alla gloria di Dio e fu mandato Raffaele a guarire tutti e due: a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché con gli occhi vedesse la luce di Dio, e a dare Sara, figlia di Raguèle, in sposa a Tobìa, figlio di Tobi, e così scacciare da lei il cattivo demonio Asmodèo.

Anche don Gianni ha conosciuto una grave prova, irretito in false promesse, quasi travolto fino a vivere in una condizione penosa. Ma poco per volta ha fatto spazio all’aiuto che gli veniva offerto. E dopo una vita spesa a servizio del Signore e della Chiesa universale con compiti molto delicati, affrontò con l’aiuto di molti, questa prova. E di questo siamo grati al Signore con le parole di Sara: Benedetto sei tu, Dio misericordioso, e benedetto è il tuo nome nei secoli.

Maria, madre di Gesù e madre nostra, certamente ha protetto questo suo figlio e lo ha accompagnato anche attraverso vie scoscese, specie in questi ultimi anni della sua vita. Ora Lei, con tenerezza materna, lo conduca definitivamente a suo Figlio, il Signore crocifisso e risorto.

† vescovo Giuliano