LITURGIA FUNEBRE PER DON FRANCESCO ASTEGNO(chiesa parrocchiale di Creazzo, lunedì 30 gennaio 2017)

         Oggi, in questa chiesa, sono con noi – spiritualmente presenti – le tante persone che don Francesco Astegno ha incontrato nel suo generoso ministero.
 
         Fu ordinato sacerdote il 4 ottobre 1959 nella Congregazione dei Missionari di San Carlo, gli Scalabriniani. Per conto di questo Istituto prestò servizio in Belgio, per 7 anni, in Inghilterra, per 24 anni, e in Svizzera, per 8 anni, a favore degli emigrati italiani. Dopo l’incardinazione nella nostra diocesi di Vicenza – avvenuta il 31 maggio 1980 – fu vicario cooperatore a Olmo, e in seguito, collaboratore a San Marco di Creazzo, quindi amministratore parrocchiale di San Gottardo e Zovencedo. Nel 1996 fu nominato collaboratore pastorale di San Felice e Fortunato e nel 2002 dell’Unità Pastorale di Creazzo.
 
         La conclusione della vita terrena di un prete, anche se da tempo non più impegnato nel ministero attivo, in forza del rapporto sacramentale e personale con Gesù e con i fratelli, riveste una sua specificità per quanto riguarda il ministero compiuto come dono e offerta della propria vita.
Don Francesco ha svolto il suo ministero di prete per quasi quarant’anni nella cura pastorale e nell’annuncio del Vangelo agli emigrati italiani in diversi paesi europei, come abbiamo ricordato. Nella sua persona si è realizzato il mandato che Gesù ha affidato ai suoi discepoli prima dell’Ascensione: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).  Egli ha sentito come rivolte a sé le parole dell’Apostolo Paolo ai cristiani di Roma: «Come ne sentiranno parlare senza che qualcuno lo annunci? E come lo annunceranno se non sono stati inviati? Come sta scritto: “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!”» (Rm 10,14-15).
 
         Leggendo il racconto di don Francesco mentre si imbarca sulla nave per l’Inghilterra si capisce il travaglio e il timore di chi lascia la propria famiglia, il proprio paese per mettersi a servizio del Vangelo di Cristo. Ecco alcuni passi di quel racconto dai toni poetici: «Quel piccolo paese galleggiante (la nave) si mosse lento e sicuro e si inoltrò in alto mare. Appoggiato al parapetto guardavo l’acqua scorrere veloce e tumultuosa come la vita. Piangendo estrassi una foto e, dopo averla guardata, la lasciai cadere, volteggiò nell’aria, cullata dal vento e con fatica cadde tra le onde. Sentivo il vento freddo della Manica penetrarmi nelle ossa. Fissavo il buio del mare e pensavo: “Cristo, dove sei? Sento la tua voce nel sibilo del vento, sento il tuo amore nel freddo della notte, contemplo la tua verità nella luce chiara dell’alba”. Dentro di me sentivo la paura del futuro, la solitudine».
 
         Ma avvertiva anche forte le parole dell’Apostolo Paolo: «Chiunque crede in Cristo non sarà deluso» (Rm 10,11), e anche le parole di consolazione e di speranza rivolte da Gesù agli Apostoli: «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18). In queste parole don Francesco ha creduto e per l’annuncio del Vangelo ha speso tutta la sua vita di prete.
 
         Nel primo colloquio che ho avuto con lui, dopo poco tempo dal mio ingresso in diocesi, mi parlò del suo paese natale, Chiampo, dei suoi studi classici e della sua vocazione intuita davanti alla grotta di Lourdes, sentendo la chiamata del Signore “fatti prete!”; e aggiunse: «È passato un missionario scalabriniano e così sono entrato nella Congregazione e a 27 anni fui ordinato prete scalabriniano».
         Nel novembre del 2006 scrive al vescovo monsignor Cesare Nosiglia, nell’imminenza dei 75 anni di età: «Ritornato in Italia a circa 65 anni mi è stato difficile integrarmi a causa della mentalità diversa da quella nordica a cui mi ero abituato. Posso dirle, però, che nonostante le varie traversie e contrasti non ho rinnegato Cristo che mi è stato sempre vicino. Ora nella confusione dei tempi odierni desidererei ritirarmi nel silenzio e ricercare Dio e la sua luce».
 
         L’Eucaristia che stiamo celebrando è il memoriale della morte e della risurrezione del Signore Gesù. La morte di Cristo, accettata come obbedienza al Padre e vissuta come atto supremo di amore per noi, è anche vittoria sulla stessa morte: l’amore è l’altro volto della risurrezione. Pensando agli ultimi mesi di vita di don Francesco e pensando alla sua morte, noi siamo consolati dal pensiero che la sofferenza e la morte del credente sono sorrette dalla grazia del Crocifisso e possono diventare, anche per lui, speranza di risurrezione.
 
         Don Francesco per tanti anni ha predicato la Parola di Dio, aiutando i fratelli e le sorelle a vivere secondo la fede. Per 58 anni, finché le forze glielo hanno consentito, ha celebrato l’Eucaristia. E noi crediamo nella potenza della Pasqua di Gesù, capace di farci passare dalla morte alla vita senza fine.
         Preghiamo per lui e insieme lo affidiamo all’intercessione della Vergine Maria, la nostra Madonna di Monte Berico e a tutti i Beati e ai Santi della nostra Chiesa diocesana.
 
         Noi amiamo pensare che quanti sono stati aiutati da don Francesco a camminare sulla strada della fede e lo hanno preceduto nella pace, oggi gli vengano incontro per condurlo a Dio, Padre Buono e Misericordioso.
         Preghiamo insieme il Signore della Vita perché doni alla nostra diocesi numerose e sante vocazioni al Sacramento del Matrimonio, alla Vita Consacrata e al Ministero Ordinato. 

 

† Beniamino Pizziol
Vescovo di Vicenza