OMELIA nella Veglia di Pentecoste animata dalla Consulta delle Aggregazioni laicali – Cattedrale di Vicenza, 27 maggio 2023

OMELIA nella Veglia di Pentecoste animata dalla

Consulta delle Aggregazioni laicali

Cattedrale, 27 maggio 2023

Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra. Siamo nei primi capitoli del primo libro della Bibbia.

Sembra che dopo il peccato commesso dai progenitori e la catena di violenza abbattutasi sull’umanità dove il fratello dà a morte il fratello, Dio si sia pentito di aver creato gli umani. L’esperienza del diluvio lo attesterebbe. Ma la distruzione non fu totale. Rimasero in vita Noè, i suoi tre figli con le loro famiglie. E Dio disse a Noè: “Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra”. Dunque Dio non si è ancora stancato di “salvare” l’uomo dalla sua triste condizione egoista e violenta e permane nel suo desiderio di amicizia con l’uomo.

Ma ecco che in seguito quel popolo che Dio faceva crescere volle costruire una città, con mura e fortificazioni. Non sono capaci di servirsi delle pietre e della malta, ma hanno la presunzione di costruirsi una fortezza che si innalzi. Volevano farsi un nome. Non bastava a loro il nome dato da Dio. Si chiudono nella propria ricerca di identità. Non vogliono disperdersi, magari mescolandosi con altri popoli, altre culture, altre lingue. Ma la ricerca e l’esaltazione di sé stessi, prima come popolo e poi come individui singoli, finisce in tragedia: non sono più in grado di comprendersi. Fanno eco le parole di Gesù: chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Si dispersero per tutta la terra e non riuscirono a costruire quella bella città che aveva in serbo. Quella città venne chiamata Babele. La radice della parola Babele è il verbo confondere. Si confondono. Proprio loro che volevano distinguersi si confondono, diventano liquidi irriconoscibili in mezzo agli altri. Un dramma che giunge fino ai nostri giorni. L’ha richiamato papa Francesco «L’individualismo consumista provoca molti soprusi. Gli altri diventano meri ostacoli alla propria piacevole tranquillità. Dunque si finisce per trattarli come fastidi e l’aggressività aumenta. Ciò si accentua e arriva a livelli esasperanti nei periodi di crisi, in situazioni catastrofiche, in momenti difficili, quando emerge lo spirito del “si salvi chi può”» (Letter encicl. Fratelli tutti, n. 222).

Per questa situazione compromessa si fa strada la promessa di Dio: io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo… Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza… anche per i superstiti che il Signore avrà chiamato. Non l’esaltazione del proprio nome, della propria identità, bensì l’invocazione del nome del Signore arreca salvezza e pienezza di vita. Soltanto lo Spirito di Dio, con la sua unzione su ogni uomo, potrà liberarci veramente dalla violenza che annichilisce l’uomo eliminato dal fratello e dalla disperata ricerca del proprio ego che genera indifferenza e solitudine.

Noi siamo figli di quella promessa di Dio. E Dio è fedele. Non viene meno alle sue promesse. Sugli apostoli e Maria riuniti nel cenacolo fa scendere con abbondanza lo Spirito Santo. Giunge improvviso e come un vento forte crea movimento e fragore. Lo Spirito squarcia il silenzio e la compostezza della preghiera degli apostoli. Quel soffio donatore di vita in Adamo ed Eva ora è un vento fortissimo. E ciascuno dei presenti è raggiunto da lingue di fuoco. Ognuno, grazie all’Amore di Dio che illumina e riscalda, ritrova la propria identità, quella stessa che Gesù riconosce salendo dalle acque del Giordano: l’identità di Figlio amato con predilezione dal Padre. E se la ricerca solipsistica del proprio io conduce all’impossibilità di comunicare perché produce poco per volta isolamento, l’identità dei figli amati compie il miracolo di vivere in relazione con tutti, facendosi comprendere. Ho bisogno di Dio che si rivela come Amore e ho bisogno dei fratelli e delle sorelle per riconoscere me stesso. La mia vera identità la scopro proprio nella relazione. Non con alcuni, bensì con l’intera umanità.

E dal fragore che spinge a uscire dal cenacolo per entrare in relazione con tutti perché tutti mi stanno a cuore; lo Spirito crea una grande armonia tra tutti i popoli della terra. Proviamo ad immaginare questi apostoli che escono dal Cenacolo e parlano a destra e a sinistra animati dallo Spirito Santo. Narrano ciò che hanno vissuto con Gesù e come Lui sia entrato nella loro vita. Narrano le grandi opere che Dio stava compiendo e continuava a compiere. Non sono preoccupati di sé stessi. Sono preoccupati di testimoniare con la loro vita la grandezza dell’Amore di Gesù. E sembra che non siano tanto preoccupati di ciò che gli altri dicono di loro. Alcuni, infatti, li deridevano ritenendoli ubriachi. Ma la forza che infonde lo Spirito è grande e loro si appoggiano di su di essa.

Chiediamo come singoli e come associazioni, come comunità, cammini e movimenti, che il Signore ci liberi dal bisogno di emergere sopra gli altri, dal bisogno di avere una identità per distinguerci dagli altri, dal bisogno di mettere recinti nei nostri gruppi per distinguere chi è dentro e chi è fuori, dal bisogno di farsi un nome, di essere riconosciuti.

Accogliamo il dono dello Spirito santo che ci spinge ad aprirci, a rompere gli schemi anche generando fragore e forse un po’ di confusione. Ma lo Spirito non ci disperde, piuttosto ci invia fino ai confini della terra. E forse scopriremo che la nostra identità si rafforza accogliendo il Figlio di Dio che ci spinge alla relazione con i fratelli e le sorelle. È in quelle relazioni che noi ritroviamo noi stessi e pure i carismi di ciascuno crescono per il bene di tutti.

«Nel Nuovo Testamento si menziona un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22) definito con il termine greco agathosyne. Indica l’attaccamento al bene, la ricerca del bene. Più ancora, è procurare ciò che vale di più, il meglio per gli altri: la loro maturazione, la loro crescita in una vita sana, l’esercizio dei valori e non solo il benessere materiale. C’è un’espressione latina simile: bene-volentia, cioè l’atteggiamento di volere il bene dell’altro. È un forte desiderio del bene, un’inclinazione verso tutto ciò che è buono ed eccellente, che ci spinge a colmare la vita degli altri di cose belle, sublimi, edificanti» (Fratelli tutti, 112).

 

«Vieni, Spirito Santo! Mostraci la tua bellezza

riflessa in tutti i popoli della terra,

per scoprire che tutti sono importanti,

che tutti sono necessari, che sono volti differenti

della stessa umanità amata da Dio. Amen» (Fratelli tutti, 287).

 

† vescovo Giuliano