“E’ sufficiente che sia pagato per essere considerato lavoro?”, ha esordito così don Matteo Zorzanello, direttore della pastorale sociale e del lavoro, introducendo il tema della preghiera “Lavoro bene comune” proposta all’Istituto San Gaetano in Stradella Morra in occasione del 1° maggio, giorno in cui si celebra san Giuseppe lavoratore e laicamente si festeggiano i lavoratori.
L’introduzione alla veglia proposta da don Zorzanello ha voluto sottolineare inoltre l’urgenza di chiedersi quali valori e/o quali caratteristiche vanno riconosciuti necessariamente perché si tratti di lavoro. Tra queste spicca la richiesta dei giovani, spesso tacciati di non voler lavorare, mentre dal loro punto di vista si tratta di riconoscere una sorta di appello pubblico affinché il lavoro non sia catalizzante al punto da non poter coltivare altre passioni.
Maurzio Ferron della commissione di pastorale sociale e del lavoro ha proposto quindi una riflessione etimologica per scavare nei termini proposti dal tema della preghiera, in modo tale anche da riconoscere dei significati comuni. In un passaggio conclusivo ha detto: “Il lavoro è un bene comune quindi, se è la faticosa ricerca ed elaborazione di modalità per realizzare le potenzialità ideali di una comunità costruita sulla giustizia, tenendo presente che ognuno contribuisce a questa realizzazione esprimendo i suoi talenti individuali (potenzialità, capacità, desiderio…); quindi non c’è più distinzione o contrapposizione tra realizzazione individuale e dimensione sociale. Tutto questo rovescia la logica che prevale nel nostro modello economico, produttivo e culturale in cui la realizzazione o miglioramento di una persona sembra possa avvenire solo a discapito di altri, in un vano gioco competitivo tra vincenti e perdenti che disumanizza, danneggia tutti, degrada il creato e annienta l’idea stessa di bene comune”.
A queste provocazioni hanno risposto prima la testimonianza di Massimiliano Quaresimin, che ha presentato l’esperienza di Vicenza City Campus, una residenza universitaria che offre progetti e formazione in linea con l’enciclica Laudato Si’, e poi la riflessione del vescovo Giuliano che è iniziata dal commento ai brani del Siracide 38,25-34 e del Vangelo di Matteo 13,54-58.
“Resta la questione che l’autore ispirato si pone e troviamo indicato nel versetto seguente che non abbiamo letto: Differente è il caso di chi si applica a meditare la legge dell’Altissimo. Differente da chi fa un lavoro è lo scriba che viene definito in questo modo: La sapienza dello scriba sta nel piacere del tempo libero, chi si dedica poco all’attività pratica diventerà saggio”, ha spiegato il Vescovo.
“Questa contrapposizione tra lavoro e sapienza ispirata da Dio la incontriamo anche nel Nuovo testamento quando si racconta che Gesù ritorna nel paese dove è cresciuto, Nazareth, e i suoi compaesani sono stupiti dalla sua sapienza quando insegna nella sinagoga. E dicono: da dove gli viene questa sapienza? È impossibile che sia davvero sapiente: non è costui il figlio del carpentiere? Come dire: sapiente è chi ha studiato, chi non ha perso tempo a lavorare con le proprie mani dedicandovi energie e fatiche. Come può essere per Gesù? Gesù appartiene ad una famiglia che ha sudato per portare a casa il pane quotidiano. Anche Gesù è stato introdotto al lavoro dal padre Giuseppe. Anche Gesù ha fatto il carpentiere. Come può essere sapiente?”, ha continuato mons. Brugnotto.
Rimangono certamente molti interrogativi, che sono ora accompagnati da una serie di nuove consapevolezze e motivazioni per cercare scelte per un effettivo lavoro-bene comune.
Naike Monique Borgo