Preghiera e riflessione Il lavoro Bene comune

Preghiera e riflessione Il lavoro Bene comune

Istituto San Gaetano, 1 maggio 2024

 

Letture di riferimento: Sir 38,25-34; Mt 13,54-58

Per riflettere sulla realtà del Lavoro e Bene Comune abbiamo appena ascoltato un testo dell’Antico Testamento tratto da libro del Siracide.

In esso si contrappone lo scriba che è sapiente al lavoratore che è una figura positiva ma non può essere sapiente. Ecco la domanda: Come potrà divenire saggio chi maneggia l’aratro e si vanta di brandire un pungolo, spinge innanzi i buoi e si occupa del loro lavoro e parla solo di vitelli? Dedica il suo cuore a tracciare solchi e non dorme per dare il foraggio alle giovenche (Sir. 38, 25). La stessa cosa si dice dell’artigiano, del fabbro, del vasaio. E conclude: Tutti costoro confidano nelle proprie mani, e ognuno è abile nel proprio mestiere. Senza di loro non si costruisce una città, nessuno potrebbe soggiornarvi o circolarvi. Ma essi non sono ricercati per il consiglio.

Bella anche la finale che abbiamo ascoltato: Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto, non compaiono tra gli autori di proverbi, ma essi consolidano la costruzione del mondo, e il mestiere che fanno è la loro preghiera. Si pensa al lavoro di tutte queste persone come ad un pregare: lavorando bene, pregano.

Ma resta questione che l’autore ispirato si pone e troviamo indicato nel versetto seguente che non abbiamo letto: Differente è il caso di chi si applica a meditare la legge dell’Altissimo. Differente da chi fa un lavoro è lo scriba che viene definito in questo modo: La sapienza dello scriba sta nel piacere del tempo libero, chi si dedica poco all’attività pratica diventerà saggio.

Questa contrapposizione tra lavoro e sapienza ispirata da Dio la incontriamo anche nel Nuovo testamento quando si racconta che Gesù ritorna nel paese dove è cresciuto, Nazareth, e i suoi compaesani sono stupiti dalla sua sapienza quando insegna nella sinagoga. E dicono: da dove gli viene questa sapienza? È impossibile che sia davvero sapiente: non è costui il figlio del carpentiere?

Come dire: sapiente è chi ha studiato, chi non ha perso tempo a lavorare con le proprie mani dedicandovi energie e fatiche. Come può essere per Gesù? Gesù appartiene ad una famiglia che ha sudato per portare a casa il pane quotidiano. Anche Gesù è stato introdotto al lavoro dal padre Giuseppe. Anche Gesù ha fatto il carpentiere. Come può essere sapiente? (cf Mt 13,54-58)

La vera sapienza in che cosa consiste? Questa è la domanda. Nel sapere molte cose, magari per vantarsi o per considerarsi superiori agli altri? E il lavoro, il fare un mestiere, assorbe così tanto che non c’è spazio per altro? Fare un mestiere è certamente impegnativo, richiede energie, tempo, concentrazione, dedizione… ma dove riposa il senso di tanta fatica?

Gesù, e con lui Giuseppe, sorprende tutti, perché Lui non vede alcuna contrapposizione tra il fare un lavoro manuale come il falegname e l’acquisizione di una vera sapienza nella vita.

Ciò è evidente da una preghiera stupenda di Gesù che nei giorni scorsi abbiamo ascoltato per festeggiare Caterina da Siena, dottore della Chiesa, donna tanto semplice quanto sapiente e coraggiosa.

Gesù ci fa conoscere ciò che sta realmente a cuore al Padre: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza (Mt 11,25).

Gesù ci svela che gli umili e i piccoli hanno fiducia in Dio e Dio manifesta a loro i misteri del regno di Dio.

Per questi, infatti, il lavoro permette di essere vissuto in comunione con Dio non nel senso che uno cerca di sforzarsi di essere unito a Dio bensì coglie che il suo lavoro è partecipazione all’opera di Dio sull’umanità. 

Nel messaggio che abbiamo pubblicato per questa giornata come vescovi italiani abbiamo sottolineato proprio questa visione nuova sul lavoro indicataci dal Vangelo.

«“Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (Gv 5,17). Queste parole di Cristo aiutano a vedere che con il lavoro si esprime “una linea particolare della somiglianza dell’uomo con Dio, Creatore e Padre” (Laborem exercens, 26).

Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un “fare qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità: “È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana” (Centesimus annus, 41)» (Messaggio dei vescovi italiani, 1 maggio 2024).

Giuseppe con il suo lavoro, alla scuola del Figlio, ha imparato che nell’umile lavoro quotidiano c’è la grazia di partecipare all’opera divina che ha a cuore il prendersi cura dell’umanità e della Casa comune che è il Creato. Qui sta la vera sapienza: dedicarsi al lavoro quotidiano, non unicamente per fare reddito e neppure unicamente per realizzare se stessi quale soddisfazione del proprio ego. È un altro il segreto del lavoro quotidiano: prendere parte all’azione di Dio che è sempre un agire “con” e un agire “per” gli altri. Un lavoro che costruisce il bene di tutti, edifica la comunità.

Chiediamo al Signore, per intercessione di San Giuseppe, di sentirci partecipi della sua opera nel mondo con il nostro lavoro. E chiediamo che vi sia la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti, giovani – migranti – carcerati – che è un modo di riconoscere la dignità di ogni persona. Che a tutti si riconosciuto un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, sradicando forme nuove di schiavitù come il caporalato tanto presente anche nei nostri territori. Che quanti lavorano si sentano corresponsabili della vita sociale partecipando attivamente alla vita democratica.

E affidiamo alla misericordia del Padre quanti hanno perso la vita nel lavoro – più di 1000 persone lo scorso anno in Italia – e vi sia più attenzione da parte di tutti alle condizioni di sicurezza nel lavoro perché il lavoro è sapienza di Dio.

† vescovo Giuliano