VEGLIA DI PREGHIERA DEI GIOVANI PER LE VOCAZIONI Cattedrale, 4 maggio 2024

VEGLIA DI PREGHIERA DEI GIOVANI PER LE VOCAZIONI

Cattedrale, 4 maggio 2024

Testi biblici: Gen 1,1-5.27-28; Lc 24,13-16.25-33a.

 

Ci vengono consegnate tre parole questa sera: costruirecasaviaggio.

Innanzitutto costruire. Forse il racconto della Genesi che abbiamo ascoltato potrebbe essere indicato come l’atto di Dio di costruire il mondo: il cielo, la terra, la luce e le tenebre, l’uomo e la donna.

Normalmente si utilizza questo verbo costruire per le realizzazioni dell’uomo come la casa, le strade, i ponti, le fabbriche, le dighe… L’uomo costruisce, e in un certo modo, continua l’opera di Dio che ha creato. Si dice anche che sono “creazioni dell’uomo” tante opere. Sotto di noi ci sono i resti di alcune case dell’epoca romana: edifici costruiti per viverci. Sopra è stata edificata questa chiesa così grande arricchita di tante “opere d’arte”, espressioni della creatività umana.

Ma il costruire quale scopo ha? Perché costruiamo una casa? La risposta è piuttosto semplice: per abitare. Dopo la seconda Guerra mondiale il filosofo Heidegger, avendo davanti agli occhi interi quartieri e città distrutte – come possiamo vedere anche oggi a Gaza o Zaporizhia – si chiedeva cosa significasse costruire in relazione all’abitare. La costruzione è il mezzo, l’abitare il fine. Se non fosse così e il costruire fosse un atto materiale, noi non proveremmo sconcerto e dolore di fronte alle case rase al suolo.

Anche Dio, sembra dirci il testo della Genesi, ha creato la Casa comune nella quale viviamo perché la abitassimo: siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra.

E sempre pensando alla nostra esperienza concreta di vita, abitare non significa semplicemente avere un alloggio. Si dice del camionista che è a casa in autostrada, ma non è il suo alloggio. Così di un universitario si dice che abita il campus anche se ha un alloggio provvisorio – quando lo trova.

Noi generalmente separiamo il costruire dall’abitare. In realtà ogni volta che noi costruiamo qualche cosa – di materiale e pur di pensiero – noi già vi abitiamo, perché quella cosa la sentiamo nostra, ci appartiene e in un certo senso ci riconosciamo.

Il testo ispirato della Genesi ci sollecita a tenere unite le due realtà, il costruire e l’abitare. Infatti il costruire come abitare si dispiega nel costruire che coltiva, che fa crescere, che evolve. Perciò si potrebbe concludere che abitare non è automatico, occorre saper abitare, imparare ad abitare, a dimorare da qualche parte.

Potremmo chiederci: come sto costruendo la mia vita? Dove abito? Posso dire di avere una “casa” nella quale realmente mi ritrovo?

Facciamo un passo ulteriore. Costruire una casa per abitarvi è solo una parte di ciò che cerchiamo con il desiderio di abitare. Infatti sentirsi a casa è sentirsi liberi, felici, amati. Sentirsi accettati per quello che siamo nonostante i nostri limiti, ha scritto qualcuno di voi in istagram. Non sono soltanto le mura e le cose che ci fanno sentire a casa. Molto più lo sono le relazioni. Uno potrebbe avere una villa bellissima e sentirsi poco “a casa”. Un altro potrebbe avere una abitazione molto modesta o una capanna e sentirsi “a casa” perché si sente “in famiglia”: sta bene nelle relazioni che vive!

Fermiamo per un momento la nostra attenzione alla relazione con Dio, con il Signore. Noi spesso riteniamo che sia stato facile per quelli che hanno conosciuto Gesù, fidarsi di Lui, o quanto meno riconoscerlo presente nella loro vita. Ma non è stato così.

Non è stato così per i due discepoli che abbiamo incontrato nel Vangelo. Eppure avevano parlato con Gesù; avevano mangiato insieme molte volte. Ma dopo la sua morte lo avevano escluso dalla loro vita. Un certo desiderio abitava nel cuore, sì! Ma non l’avevano più visto. Qualcuno raccontava di averlo incontrato risorto, ma cosa voleva dire questo?

Non capita anche a noi di aver sentito parlare di Gesù, ma con difficoltà credere in Lui. Se poi dobbiamo parlare della chiesa, molti hanno l’impressione che non sia una casa nella quale abitare. Al contrario! Qualcuno ha detto che nella chiesa c’è tanta ipocrisia, distacco dalla realtà, con una ritualità fredda. E poi, nella chiesa c’è ancora posto per i giovani?

C’è però un atteggiamento che ha permesso ai due discepoli del Vangelo di non rimanere paralizzati nelle proprie convinzioni e paure. Hanno dato ascolto alle proprie inquietudini. Ne hanno parlato tra di loro lungo la via. E non si sono vergognati neppure di parlarne ad uno sconosciuto che era in cammino al loro fianco. Ecco da dove inizia un cammino di novità. Non vergognarci di condividere con i fratelli e le sorelle che ci stanno a fianco ciò che ci rende tristi, ciò che ci infastidisce di noi stessi, ciò che brucia dentro come una ferita. Lì, al tuo fianco c’è Gesù risorto che ti ascolta, cammina con te, ti aiuta ad avere uno sguardo nuovo sulla realtà. Nasce così il desiderio di passare da una relazione occasionale alla richiesta di abitare con Lui: Resta con noi, perché si fa sera.

È questa Sua condivisione che ci permette di spalancare gli occhi. Il gesto dello spezzare il pane per condividerlo perché solo attorno alla stessa tavola possiamo sentirci a casa, possiamo avere una abitazione non fatta di mattoni bensì di relazioni piene di respiro. Non basta “andare a Messa”. Occorre sedersi a quella tavola fatta di relazioni nelle quali non si ha paura di consegnare anche le nostre inquietudini.

Alcuni giovani partiranno per una esperienza in terra di missione; apriranno gli occhi su persone e realtà sconosciute, spesso povere di beni materiali ma ricche di buone tradizioni culturali. Ci è voluto coraggio per fare questa scelta. Ci vorrà ancor più coraggio condividere la propria vita con gli ultimi, ma potrà rivelarsi l’inizio di un cammino nuovo.

Anche Nicolò sta compiendo una scelta audace.  Nei giorni scorsi ha scritto: Ripercorrendo gli appunti di questi ultimi tempi, il passo del Vangelo in cui sorge la domanda “Maestro dove abiti? Venite e vedrete” è uno di quelli che ha maggiormente segnato la mia preghiera. Si tratta di parole che mi sono state consegnate in realtà diversi anni fa, con l’inizio del cammino del Sichem, e che, oggi, assumono un gusto nuovo, ancor più vivo.

Carissimi giovani, se portate delle trepidazioni nel cuore e desiderate far luce in voi sappiate che la chiesa è la casa dei discepoli in cammino, in ricerca, con tante domande e poche risposte. La chiesa è abitazione anche per voi e voi con la vostra giovinezza inquieta aiutateci a ristrutturarla perché sia casa accogliente per tutti e davvero aperta a tutti.

Vi lascio indicando un giovane che ha cercato nella filosofia la risposta alle tante domande che si portava dentro. Un giorno ha incontrato a Milano un testimone di Cristo che l’ha affascinato. Quel giovane, di nome Agostino fece una scoperta: Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te (Le Confessioni, I,1,1).

† vescovo Giuliano